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Pillole di psicologia: ALLEANZA
Di Aldo Monaco
Ha aperto la porta quando il signore col maglioncino a scacchi le ha chiesto di entrare e accomodarsi dove più gradiva. Allora lei ha preso la sedia che si trovava al centro della scrivania e l’ha spostata verso destra dove il display del computer dell’uomo l’avrebbe resa meno scrutabile. Lei indossa dei vestiti che si confondono coi capelli nerissimi che sembrano non avere una fine come fossero parte dei vestiti total black. L’uomo, solo dopo qualche sorriso, dice di chiamarsi Giovanni, è uno psicologo per adolescenti che vivono un momento di stallo della propria vita e con la necessità di una qualche forma d’aiuto. Gli occhi della ragazza sono lucidi di pianto. Dopo qualche secondo di rispettoso silenzio, l’uomo le chiede il nome e come è giunta fino a lui. Monica, risponde, e alzando per la prima volta i suoi occhioni neri scoppia a piangere, forse riprendendo un pianto iniziato prima dell’ingresso nella stanza. Singhiozza…non le piace parlare di sé a uno sconosciuto che, nel suo silenzio, è poco rassicurante e poco comprensivo. Con il viso coperto dalle maniche della felpa, il pianto continua, e anche la lamentela di non volere quell’incontro. Sembra condannata a un’incontrollabile tristezza. Poi la domanda: Come si fa a vivere quando l’unico pensiero che tormenta ogni singolo momento di ogni singolo giorno è legato ad una tristezza mutilante di ogni stimolo e desiderio? Giovanni risponde: Come pensi che possa risponderti se a malapena conosco il tuo nome? Lei reclina la testa e ripete a bassa voce che quell'uomo ha ragione e che è troppo difficile darsi dei tempi di riflessione personale, quando c’è tutto il mondo che raglia cose spaventevoli, quando c'è un macello di cose che speri solamente finiscano il prima possibile senza ingombranti ed ulteriori fastidi. Poi racconta di una festa del 18esimo della sua amica, prima in casa poi in discoteca: Io però non volevo fare un cazzo…non m’andava di condividere una felicità che non sentivo e ne l’odore di quelle persone che già fatico a sopportare in classe …volevo stare nella mia camera ad ascoltare Amy Winehouse e i Nirvana senza scontare una pena che vivo da quando sono nata e da quando non mi fa più paura il dolore, la morte e questo schifo di persone!! Alla festa però sono andata e in un certo senso son stata bene. Quando però hanno deciso di andare in discoteca ho chiesto ai genitori della mia amica se potevo rimanere da loro senza tornare a casa mia… non volevo subire l’interrogatorio dei miei. Così son rimasta sul divano chiacchierando con i genitori della mia amica mi hanno lasciata dormire sul divano…ma io non ho chiuso occhio. Su quel divano, in quel silenzio che ha svuotato le stanze della festa, ho pensato di aver bisogno di aiuto: ho capito che i tagli sulle mie gambe, che il cibo gettato di nascosto, che avere lasciato la danza, avevano un comune denominatore: la fatica di crescere, la paura di combattere, la necessità di sentirsi importanti, il coraggio di accettarsi per quello che si è senza soffrire per quello che non si potrà essere. Su quel divano ho pianto per il male continuo a farmi, che continuo a subire in classe, mentre cerco di essere semplicemente me stessa... Alla voce rotta dai singhiozzi di Monica si sovrappone quella dello psicologo che la calma: ti ringrazio Monica di quanto sei riuscita a dirmi…davvero! La fiducia che mi concedi è un lavoro di scoperta che ci vede coinvolti nello stesso modo. La fiducia che mi mostri è lo sforzo che servirà per poter sempre essere dalla tua parte tutte le volte che aprirai quella porta e sarai seduta di fronte a me, di fronte a te: pezzi, detriti diventati galassie, lacrime, ricordi, lividi diventati cicatrici, emozioni, turbamenti, parole, graffi, sensazioni…Vita.
